0.1 Quiet

Mathieu-Samuel

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    Era una notte di lupi feroci, l'abbiamo riempita di luci e di voci.

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    Mi sistemai i capelli e lo seguii, di corsa, scendendo le scale alla solita maniera, tanto che ormai Samuel si era pure smesso di preoccuparmi per la mia testa. Al contrario di Edward che, vedendomi sul corrimano, scosse la testa, quasi rassegnato.
    -Se rimarrà a letto per un mese signorino, sappia che non intendo portarle a letto la cena!- esclamò. Edward era sempre timido e sottomesso con noi, ma se la giornata gli andava bene e tutti gli obbedivano, si azzardava anche a chiacchierare con gli ospiti.
    Risi in tutta risposta e corsi nel Teatrino. Raggiunsi Samuel sul palco, ma non mi sdraiai come lui. Andai al pianoforte, scrocchiai ogni ossicino delle dita e cominciai a suonare Unlaced con accordi per pianoforte.
     
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    Mi spostai più vicino a lui, e mi ristesi ad un metro scarso di distanza, chiudendo gli occhi e ascoltandolo suonare, rapito dalla musica. Mi stupiva ancora la sua abilità nel suonare: io ero negato in quell'ambito. Completamente. Aprii gli occhi e lo guardai, perso nella sua figura, rapito dall'espressione che aveva, un'espressione a metà tra la tranquillità e la preoccupazione.
    Forse la stessa che avevo io in quel momento. Ma quando suonava era diverso, si estraniava quasi dal mondo. Mi inginocchia affianco a lui, davanti alla tastiera, e rimasi a guardare le sue mani.
    Non sarei mai riuscito a fare qualcosa del genere io! Assurdo.
     
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    Ero troppo... teso. A circa un minuto e mezzo di canzone sbagliai nota, ma quando ne sbagli una è uno sfacelo. Un'altra, poi una ancora dopo. Poi rallentai, cercando di riprendere il ritmo più lentamente, ma di azzeccare almeno una nota. Niente, mi tremavano persino le mani.
    "Devi stare calmo, Mathieu." mi dissi, con un sospiro.
    Mi asciugai nervosamente le mani sui jeans scuri e ripresi da capo, tutta la melodia. Ma dopo pochi attimi di suono, il volto del moro si impresse nella mia testa, in un misero istante.
    Sussultai e lasciai cadere le dita sul pianoforte, praticamente a caso, in una nota distorta e stonata.
    Solo in quell'attimo mi resi conto di quanto Sami mi si fosse avvicinato.
     
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    Gli presi le mani tra le mie, delicatamente, e ne baciai le dita, una ad una, guardandolo negli occhi. Gli sorrisi, un sorriso sghembo, allegro, per tirarlo su di morale, o anche solo per provarci.
    -Sta tranquillo amore-
    Mi alzai e mi poggiai al pianoforte. Per me era qualcosa di impossibile. Al di la delle conoscenze base degli accordi della chitarra, altro non sapevo fare. Sospirai appena: mi sarei fatto insegnare da Mathieu, ecco.
     
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    Mi leccai le labbra e sorrisi, sconsolato. Rilassai completamente spalle, braccia e dita, facendo scrocchiare ancora le ossicina. Mi schiarii la voce e provai a riprendere da dove mi ero perso, con calma. Poi, finalmente, terminai la canzone. Ma quel volto era più che indimenticabile, ora mi sembrava di averlo impresso sopra i tasti, ora sul legno scuro del pianoforte.
    Aumentai il ritmo della canzone, forse per finirla prima possibile, come se fosse stata una sorta di colonna sonora di un film che non volevo vedere.
    Battei il dito sull'ultimo tasto nero, allungando il suono con il pedale, quando un piccolissimo applauso si compose alle mie spalle.
    Non volevo girarmi perchè sapevo già di chi erano i due corpi alla porta del Teatrino.
     
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    Mi volta immediatamente verso le porte. Non avevo sentito un solo rumore, preso com'ero da Mathieu. Non era la prima volta che mi succedeva. Quei due erano le ultime persone che volevo vedere. Immediatamente sentii un blocco d'ansia gravare all'altezza della bocca del stomaco. Mi alzai, inquieto. Feci un cenno del capo e porsi la mano a Mathieu, in un silenzio invito ad andarcene da li.
    Immediatamente. Come se, se fossimo restati un secondo di più saremmo stati in pericolo.
    Di solito, il mio sesto senso non si sbagliava.
     
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    Sentii un brivido gelido lungo la colonna vertebrale, come se mi avessero fatto cadere un cubetto di ghiaccio giù per la maglia. Mi alzai di scatto, ma cercai di dissimulare la cosa sporgendomi a spolverare un secondo il pianoforte, come se avessi visto qualcosa che non mi piaceva.
    Mi voltai appena e accennai un misero sorriso ai due nuovi arrivati, che chissà inoltre da quanto ci stavano ascoltando, poi mi voltai a guardare Samuel. Sapevo cosa fosse intenzionato a fare, sia a cosa stesse pensando. Ma, se erano qui, avrebbero trovato mille pretesti per avere la nostra attenzione.
    E cosa avrebbero detto gli altri se ci fossimo ritirati dalle domande e richieste? C'erano già abbastanza conflitti sul nostro comando al castello.
    Sospirai profondamente e presi la mano al mio ragazzo ma lo trascinai alle scalette ai lati del palco, scendendo. Per una volta ero io a stargli davanti e a prendere comando della situazione, cosa abbastanza rara. Lui ci metteva la faccia e raccoglieva informazioni, io agivo sulla soddisfazione degli inquilini praticamente alla sua ombra. E devo dire che di solito andava benissimo così.
    -Buon pomeriggio.- esordii, accennando un altro mezzo sorriso ai due, soffermandomi di più ad osservare il moro. -Avete bisogno di qualcosa?
     
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    Come al solito, quando decideva di prendere in mano la situazione lo lasciai fare. Sempre pronto però, seppur leggermente dietro di lui, ad intervenire, qualora ce ne fosse stato bisogno. Mathieu mi stringeva la mano, conversava con un apparente calma che dentro celava una forte irrequietudine. Cercai di infondergli un po' di calma, la poca che mi era rimasta, agitato com'ero.
    Il mio viso era una maschera perfetta che celava il disagio, un sorriso accennato e cordiale stampato in viso. Non evidentemente falso, ma propriamente lo era.
    Come quello di Mathieu del resto. Tendeva ad anteporre i suoi doveri alle sue emozioni a volte, e lo stimavo per questo. Io non ci riuscivo. Ed erano in quei casi che prendeva in mano lui il castello. Mano nella mano, io dietro lui davanti. Ombra e luce ad alternanza.
     
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    Scrollai appena le spalle, attendendo una risposta. Damien, il più apparentemente anziano, prese parola.
    -A dire il vero sì. Volevamo sapere qualcosa riguardo le regole che avete qui.- aveva un tono pacato, una voce grave e un certo contegno mentre parlava. Ormai sembrava una gara a chi fosse più distaccato. Schiarii la voce, pronto a parlare. Prima spiegavamo tutto, prima ce li saremmo levati dai piedi.
    Il moro, intanto, teneva lo sguardo fisso su di me, con un piccolissimo sorriso abbastanza inquietante.
    -Bene, allora. Per prima cosa, qui siamo tutti vampiri, esclusa la servitù.- feci cenno nel mentre ai due nuovi arrivati di sedersi su due poltrone e ne approfittai del passaggio di una cameriera. La feci avvicinare e le dissi sottovoce di portare qualcosa al nostro tavolo. Quella uscì.
    -Ci tengo a precisare già da ora che la servitù non è la schiavitù, sono esseri umani ma non inferiori a noi e non vanno trattati da tali. La cortesia è il minimo. Inoltre non contano come pasto giornaliero a base di sangue, a meno che uno di loro non sia conseziente, ovvio.
    Mi accomodai a mia volta sulla poltroncina davanti a loro, mollando anche la mano di Samuel. Li avrei intontiti di parole.
    -Le camere sono da due inquilini, se avete problemi con la locazione della camera, basta contattarci e provvederemo a spostarvi in un altra. Verrete chiamati dalle cameriere quando i pasti saranno serviti. Possibilmente, rituali di morsi e banchetti vari è preferibile consumarli nelle stanze per evitare disguidi, abbiamo già avuto pessime esperienze.
    La cameriera arrivò con quattro tazze e una teiera, assieme a dei pasticcini. Ci servì, porse i piattini e la ringraziai gentilmente. Presi in mano un pasticcino alla crema pasticcera e fragola e lo addentai. Appena deglutii, ripresi a parlare.
    -Sono vietati gli scontri, sia all'interno, sia all'esterno. Non c'è orario di rientro se uscite dal castello. Sono ammessi animali a patto che vi prendiate le vostre responsabilità. Le vostre normali attività, lavorative o di svago, al di fuori del castello, sono pienamente concesse a patto che non riveliate mai a nessuno della nostra razza dove è dislocata la dimora.
    Avevamo ripetuto talmente tante volte quelle frasi che ormai le avevamo imparate, dopo novantanni.
    Mi stupii, a dire il vero, di come stessi elencando tutta quella roba, senza nessun'emozione, nemmeno l'angoscia dovuta al fatto che il moro ancora non mi aveva tolto gli occhi di dosso.
    -Nessuno scambio di sangue è concesso con i sottoscritti.
    Conclusi, o almeno sperai, puntando lo sguardo nel moro. Uno sguardo più che eloquente.

    Edited by Candice. - 11/1/2013, 23:04
     
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    Lo guardai, ripetendo a memoria quelle stesse regole nella mia testa. Sembravano talmente ovvie e scontate che ormai non le consideravo nemmeno più regole. Mi sedetti al suo fianco, rubai un pasticcino dal vassoio, e rimasi in silenzio, al suo fianco, esaminando con discrezione i due di fronte a noi.
    Si era un po' calmato. Io no. Affatto. La calma che mi era rimasta l'avevo ceduta volentieri a Mathieu. In quel momento, ero irrequieto. Terribilmente a disagio tra l'altro. Ma non avrei mai, e poi mai, lasciato il mio ragazzo da solo con quei due. Mai.
     
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    Effettivamente, erano davvero rimasti storditi. Avevo parlato con una tale cantilena e con una certa rapidità che erano rimasti qualche attimo attoniti, forse cercando di fare mente locale.
    Ma non avevo ancora finito.
    -Ci occupiamo personalmente di ogni problema, le lamentele non vanno alla servitù, tantomeno agli altri inquilini perchè presto o tardi verremo a conoscenza di cosa viene detto. Almeno una volta a settimana circa ci occupiamo di almeno una festa, uno spettacolo, una serata di svago e le sale sono sempre aperte. Tuttavia il personale a disposizione nelle ore notturne è molto ridotto rispetto all'orario giornaliero. Potete darvi a varie attività, gli strumenti qui presenti- indicai dietro di me -sono a libera disposizione. Si prega di rispettare la privacy altrui.
    Così dicendo lanciai un'altra occhiata ancor più eloquente a Gabriel. Finii il pasticcino, rigirando il cucchiaino da tè nella tazza.
    -Vengono fatte riunioni almeno una volta al mese e alcune rare in via del tutto eccezionale.
    Guardai Samuel, in cerca di approvazione. -Penso sia tutto.
     
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    -Se aveste bisogno della soffitta, o di un luogo dove depositare oggetti personali particolari, potete rivolgervi a noi- Aggiunsi. Poi guardai Mathieu e annuii appena, sorridendogli un po', lo sguardo, che lasciava intendere il mio desiderio di andarmene, in quel momento.
    Gli strinsi piano la mano, e sorrisi cortesemente ai due, stremato dalla loro presenza.
     
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    Mi lasciai stringere la mano da Samuel, ma con l'altra presi in mano la mia tazza di thè e ne sorseggiai un po'. Poi osservai i due davanti a me, in silenzio.
    -Avete bisogno di altro?
    Domandai, cordiale. Ma speravo in un "no, grazie mille" e che si alzassero, o che potessimo andarcene per conto nostro. Samuel non li reggeva più e lo capivo da come gli tremava nervosamente la mano. Anche io, in mezzo a quel silenzio, iniziavo ad innervosirmi, tanto che sentivo la gamba avere piccoli impulsi nervosi e saltellare lievemente.
     
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    Gli strinsi piano la mano, feci un respiro, e mormorai un "vogliate scusarci, se doveste avere bisogno non esitate" alzandomi. Entrambi annuirono, in modo vago, sussurrando un "certamente" che alle mie orecchie suonò particolarmente spettrale.
    Ripreso il comando della situazione, seppur momentaneamente, mi dileguai, tirandomi dietro Mathieu, dopo un cenno col capo. Aspettai di trovarmi abbastanza distante, dopo di che gli lasciai la mano, sospirai, e passai una mano sul viso.
    Mi sembrava di essere stremato.
    -Tutto a posto?-
    Gli chiesi, premuroso, passando una mano sulla sua guancia.
     
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    Gli spostai la mano, appoggiato al muro, quasi in malomodo. Poi la tenni tra le mie. Non dissi nulla, aguzzai l'udito: stavano parlando. Se io potevo sentirli da qui, loro ci avrebbero sentito da lì.
    Lo presi per mano, stringendolo forte e salendo le scale di corsa. Appena in camera, chiusi la porta a due mandate.
    -Tutto a posto io? Tutto a posto tu!- esclamai, ma a voce bassa. -Sei bianco!
    Lo feci voltare e lo portai davanti allo specchio: la sua pelle era cadaverica, non era certo da lui.
     
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